(Intervallo). 9+1 dischi da portarsi via da questo 2020



Un giorno di qualche anno fa mi sono fatto una domanda: da appassionato di musica (nonché a volte musicista) cosa risponderei se un giorno i miei nipoti (e cito loro perché esistono, rendendo cosi la cosa plausibile) mi chiedessero: “Zio, ma ai tuoi tempi, che musica c’era in giro?" ? Rendermi conto che a questa questione avrei potuto rispondere solo approssimativamente mi aveva leggermente scocciato: da un lato perché penso che la musica sia un buon viatico di conoscenza dell’esistente, dall’altro perché l’avrei personalmente ritenuto un po’ imbarazzante, vista la mia nota bramosia acustica. 

Sono quindi tre anni che seguo con più assiduità la contemporaneità musicale, con tutti i rischi che questo comporta: il vivere l’ora e oggi non ti permette di avere materiale “setacciato”, anzi: il setaccio devi farlo te, sottoponendoti al rischio di quella “bulimia d’ascolti” che tanto ti fa sentire quanto poco comprendere. Inoltre, a volte diventa una posa, quasi a voler scoprire per primi qualcuno, così da poter dire a più o meno chiunque, anni dopo, un bel “te l’avevo detto”. E confesso che ogni tanto questa voglia ce l’ho anche io, non lo nascondo; ma penso che sia anche il proverbiale “boccone del prete” dell’appassionato*. Tuttavia, se vedo che questa voglia tracimerà fino al parossismo, la smetto, promesso. 


C’é però una cosa che mi ha insegnato il vivere maggiormente il contemporaneo: ovvero che non è assolutamente vero che non ci sia musica validissima che viene composta, suonata e prodotta, oggi**. Ho quindi sviluppato una piccola ritrosia verso il passatismo, ovvero quel sentimento per il quale la musica attuale sia cosa di poco conto, al confronto con quella "vecchia"; considerazione, questa, abbastanza diffusa nell'ambito della cultura musicale nostrana: tuttavia, cerco di mantenermi equilibrato***. Su questo fenomeno, che in realtà non interessa solo l’Italia, non mi dilungo oltre, ma vi segnalo un bel libro di Simon Reynolds, “Retromania”. 


Inutile dire che i dischi che consiglio qui sono i miei dischi dell’anno e che per quanti ne segnalo ce ne saranno cento di scene, generi, musicisti che non ho ascoltato, perché non li seguo o non li conosco. Credo sia non solo normale, ma anche auspicabile ammetterlo. Elenco questi lavori in ordine d’uscita, perché non voglio classificarli in altro modo, così che ognuno si porti via quello che vuole a livello di genere, non facendosi influenzare da cosa è piaciuto di più a me. E poi perché fa un po’ “diario musicale”. 



Sam Lee - Old Wow (folk)

[gennaio] 


Dopo due dischi che hanno sconquassato il mondo del folk, grazie ad un certosino quanto appassionato recupero di tantissime folksong tradizionali britanniche a cui però Lee ha donato una freschezza totalmente nuova, “Old Wow” è l’album della maturità e della consapevolezza, frutto anche di incontri più o meno casuali con grandi della musica albionica, come Liz Fraser (che appare come uno spirito nella bellissima “The Moon Shines Bright”), Cosmo Sheldrake e Bernard Butler. Tutti alla corte di Lee, che ormai non stupisce più nè per doti musicali che canore (la sua voce baritonale quasi soul è una delizia). Un disco che suona come antico e moderno allo stesso tempo, perfetta fotografia acustica del suo autore: uno che, tanto per dirne una delle tante, è talmente ossessionato dalla storia e dalla natura da organizzare concerti all’aperto seguiti da camminate nelle moorlands, con tanto di birdwatching, di cui è appassionatissimo. Singolare, ne converrete. 


Nicolas Jaar - Cenizas (elettronica, sperimentale)

[marzo]


Il terzo album del musicista americano/cileno ha il sapore di una favola ancestrale in cui il tempo pare essere totalmente "altro". Bastano pochi attimi per capire di essere entrati in una realtà piuttosto diversa, un antro decisamente scuro, ma che stimola più curiosità che paura. I suoni, scarni e taglienti, le composizioni ridotte all’osso, i beats ossessivi, il sound generale che pare ammantare di polvere ogni nota, fanno di questo disco un lavoro tanto “lento” quanto affascinante, capacissimo di poter essere messo e rimesso su all’infinito: se c’è un modo per mettere in musica la concezione tipicamente sudamericana di circolarità del tempo, questo disco ne è la prova. Non a caso, Jaar è mezzo cileno. Uno dei dischi più interessanti e difficilmente inquadrabili dell’anno, e senza che questo sia catalogabile come vezzo di stile. 


Christine Ott - Chimères (sperimentale, contemporanea) 

[maggio]


C’è sempre una sensazione di fragile equilibrio misto ad incertezza nei dischi totalmente “solisti”, nel senso di quelli in cui vi è un solo strumento. Vi assicuro, anche per esperienza personale, che suonare e registrare da soli non è davvero molto distante dal concetto di nudità: anche acusticamente, lo spazio da poter riempire è molto più ampio e tu sei lì, da solo, completamente esposto, con solo il nastro che scorre a farti compagnia. La Ott raccoglie alla grande la sfida, licenziando un disco poetico, trascendente, ma anche minaccioso; e lo fa riscoprendo uno degli strumenti più affascinanti di sempre, quelle Ondes Martenot che con il loro suono “spaziale” hanno rapito nientemeno che Olivier Messiaen, il secolo scorso. Un album più unico che raro, ma che non indugia in mero esercizio di stile: c’è molta vita (e ricerca) qui dentro. Qualche richiamo a Messiaen è ovvio che ci sia ("Mariposas" sembra uscita dalla penna del compositore francese, con quei suoni che imitano il canto degli uccelli), ma tutto il lavoro suona come decisamente personale e onesto. Non ne escono tutti gli anni, di opere così. Ostico, indubbiamente; ma ripaga la pazienza. 


Marcin Wasilewski Trio, Joe Lovano - Arctic Riff (jazz)

[giugno]


Questo trio polacco è uno dei migliori gruppi nella scena del jazz europeo: interplay sopraffino, grande gusto melodico, ma, come si vede in questo disco,  anche una gustosa tendenza alla sperimentazione, per quanto sempre calibrata. L’incontro con Joe Lovano è davvero speciale e dona una robustezza al suono del trio che non si coglieva negli album precedenti. Wasilewski (piano) è un pianista raffinato e profondo, Miskiewicz uno dei batteristi più interessanti apparsi da tempo, non solo in Europa. Un album a metà tra il lirico e aperture free che rimandano a vecchi dischi anni 70 della ECM, etichetta per cui il disco è uscito. Consigliato. 


Ambrose Akinmusire - On The Tender Spot Of Every Calloused Moment (jazz)

[giugno]


Personalmente, ritengo che Ambrose Akinmusire sia una delle voci più importanti del jazz contemporaneo. E’ un ottimo leader, un interessante compositore, un eccelso strumentista: come dicono gli americani, non troppo poeticamente, per lui “sky is the limit”. Ho quindi accolto con piacere il suo ritorno in studio con il suo quartetto, dopo le (non eccellenti) svisate di unione con il rap e la classica. Non ne faccio una questione di purismo, ma di opportunità. Il disco è una riflessione sul blues, più inteso come stato d’animo che non come genere musicale: il risultato è uno dei dischi di jazz più interessanti non solo dell’anno. Angolare, obliquo e teso, ma capace anche di grande equilibrio tra i suoi elementi, sa partire dalla tradizione per innovarla da par suo, al punto che sinceramente, pur cogliendone i rimandi a musicisti del passato (l’influenza di Davis del secondo quintetto, degli Art Ensemble of Chicago e di Shorter sono li da sentire) finisce per essere un disco di Akinmusire e solo suo. Ha una pecca, ma la condivide con molto jazz moderno: non è lirico, né melodico. Peccato, ma è una storia lunga, che meriterebbe un capitolo a parte. Ottimo l’affiatamento con Justin Brown, Sam Harris e Harish Ragahavan. Se volete vedere dove va il jazz, ascoltate questo lavoro: l’iniziale “Tide of Hyacinth” è, in questo senso, emblematica. Notevole. 


Jon Hassell - Seeing Through Sound (ambient, sperimentale, fourth world)

[luglio]


Secondo capitolo della serie “Pentimento” e, pur se leggermente inferiore al primo, “Seeing Through Sound” è l’ennesimo tassello iridescente della carriera di Hassell, ormai quasi più un’entità che un musicista. L’intelligente riuso di materiale raccolto chissà dove, nonché di stralci di suoi vecchi brani (ma non si parli di remix) uniti a materiale ex novo (proprio come un pittore che “ridipinge” la tela a strati) è alla base di questa nuova metodologia di composizione; metodologia che ci consegna un Hassell che ancora una volta, ad 83 anni (!), si staglia sugli altri. Basta un soffio, un suono di quella tromba che pare ancora oggi venire da altri mondi (più precisamente il quarto mondo, come Jon chiama la sua filosofia musicale, che vuole unire elementi del primo mondo con altri del terzo) che i conti sono azzerati, con tutti. Un vero Maestro, e fa piacere che da un paio di anni il suo nome circoli molto di più di quanto sia lecito attendersi, visto quanto l'alchimista sonoro da Memphis ci aveva, già decenni fa, visto lungo su tantissime idee musicali che oggi vanno per la maggiore. Una nuova finestra aperta sul quarto mondo, ancora, nel 2020. Chapeau


Redi Hasa - The Stolen Cello (folk, world, contemporanea)

[settembre]


Umori balcanici che si uniscono con echi della musica del nostro meridione, attraverso un disco per solo violoncello: questo è un po' la summa del lavoro di Redi Hasa. Musicista albanese ma da anni trapiantato in Italia, proprio in questo suo disco di debutto ha voluto mettere in musica la sua storia, dalla partenza in Albania (con violoncello al seguito) negli anni 90, fino agli studi musicali nel Belpaese. Un disco che equilibria sapori folk a momenti più contemplativi, ma lo fa in modo assolutamente garbato e piacevole. Non manca un interessantissimo uso dell’ effettistica e delle sovraincisioni da studio. Profondo senza essere lezioso, è un bell’ascolto, a tratti anche divertente: uno dei tanti lavori di qualità che ci fornisce ogni anno il nostro ricco panorama “folklorico” sotterraneo.  


Samuele Bersani - Cinema Samuele (pop)

[ottobre]


Eccolo, l’intruso! Scherzi a parte, consentitemi il commento personale: quanto mi é mancato Bersani. Si, perché pochi hanno l’arguzia, l’ironia e la sensibilità dell'autore romagnolo, capace di cogliere e mettere in musica vere e proprie poesie quotidiane. Il bello di Bersani è proprio questo equilibrio tra linguaggio testuale astratto e ispirazione concreta: ecco quindi sfilare una galleria di situazioni, persone e umori che sembrano tanto attuali quanto fuori dal tempo, raccontata nel suo tipico stile. Un ottimo lavoro anche dal punto di vista musicale, con qualche apertura interessante all’elettronica. Una manciata di brani che pungono in modo piacevolmente distaccato: dopo sette anni di assenza, bentornato...


Nels Cline Singers - Share The Wealth (jazz, fusion, free, rock)

[novembre]


Quando non è impegnato a suonare la chitarra con i Wilco di Jeff Tweedy, Nels Cline si diletta a ribaltare il jazz come un calzino. Questo “Share The Wealth” è un disco vivo, aggressivo, pulsante, magmatico e chiassoso quanto il giorno dei morti in Messico. Nato da un’ora di improvvisazioni con i sodali Cyro Baptista, Trevor Dunn, Skerik, Brian Marsella e Scott Amendola (e per la quota italoamericana direi che ci siamo), l’idea di Cline era quello di editarne poi singoli momenti, ma il risultato era alle sue orecchie troppo gustoso per permettere tagli. Pubblicato nella sua interezza è un disco fiume in cui improvvisazione, fusion davisiana, echi di John Zorn, un dosato uso dell’elettronica, groove e un sapientissimo studio sul suono si uniscono in un delirante quanto esaltante quadro liberatorio.  


Ennio Morricone - Morricone Segreto (soundtrack, stage and screen)

[novembre]


Fenomenale raccolta firmata dalla CAM e della Decca sulle opere meno note del Maestro. Qui dentro c’è il Morricone a briglia sciolta tanto decantato dai musicisti di ogni globo: tra echi sperimentali e psichedelici, divagazioni jazz funk e musica novecentesca, il compositore romano riesce, miracolosamente, ad equilibrare tutti questi ingredienti in una forma decisamente appetibile anche per il neofita e il grande pubblico. Il fatto che Morricone arrivi a ciò anche in quei lavori per pellicole dove egli stesso godeva di più libertà (perché si tratta di film abbastanza minori) è sintomo di quanto sia connaturato in lui questo talento di sintesi tra pulsioni avanguardistiche e musica popolare. Come recita il sottotitolo del disco, questo è “The hidden, dark-tinged, psychedelic side of the Maestro”. Ascolto essenziale e obbligato, se vi volete del bene e se volete capire meglio uno dei grandi compositori del '900. Se mi permettete la battuta personale, dico: tanta roba, Ennio.****

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[link alla playlist spotify, con un brano per disco:
https://open.spotify.com/playlist/61hcfs7SJ7rUpj2L9xdGBG?si=0gTYihVxSDqPRyNJ00-PGw]

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* Per chi non lo sapesse, "il boccone del prete" è la parte più prelibata del pollo, ovvero il suo sottocoda.
** In realtà ce ne è davvero tanta, ma è cambiato completamente il modo di fruirla. Argomento molto complesso, che meriterebbe un post a parte.
***Questo significa che ascolto il passato tanto quanto il presente, apprezzandoli entrambi.
**** Il 2020 è stato un anno abbastanza sfortunato, nel senso di eccellenze in campo musicale che ci hanno lasciato. Oltre a Morricone, che non ha bisogno di ulteriori parole per definirne la statura artistica e storica, quest'anno sono scomparsi anche Florian Schneider dei Kraftwerk e Mccoy Tyner. Tre giganti dell'arte musicale, e sapete che uso questa parola, giganti, con parsimonia: ma, obiettivamente, Morricone é la musica per il cinema; Schneider è stato mezzo cervello dei Kraftwerk, gruppo che ha sdoganato alle masse la musica elettronica, che era prima di loro mero fatto d'accademia; Mccoy Tyner è probabilmente tra i 5 più importanti pianisti jazz di sempre.
Ringraziandoli sentitamente per quanto fatto per le orecchie, la mente e il cuore del sottoscritto, aggiungo però un consiglio di mentalità: quando muore qualcuno di veramente importante, oltre al dispiacere per la loro dipartita, penso anche a quante persone sono nate che potranno darci qualcosa di notevole, in futuro
Ovviamente arrivare a fare altrettanto di questi tre è molto complesso, ma direi che non si può certo escludere.

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