5. Yann Tiersen - Le Phare

 



Prima.

Sono in un cinema, e sono a Parigi. Il film è bello che arrivato a tre quarti, tanto che ormai i miei occhi si sono abituati al buio quasi totale della sala, illuminata solo dalla luce dello schermo; le mie orecchie si sono adagiate sulle alte frequenze audio; l’odore dei popcorn al burro mi ha talmente pervaso le narici che so già che me lo porterò dietro fino a casa. Il pubblico, come sempre in qualunque ambiente dal silenzio imposto, accarezza il fascino del proibito esibendosi in un borbottio che parte sommessamente da piccoli gruppi, sale fino a lambire il fastidio e poi ridiscende, quasi controvoglia. Personalmente, sono molto soddisfatto di quello che sto vedendo, così come tutti gli spettatori. L’unico che sembra non pensarla così è il ragazzo della fila davanti, che sono venti minuti buoni che mugugna e bofonchia a bassa voce. “Mh..”; “Mais..”; “Bah…”: recita tutto il repertorio, ma io non ci faccio troppo caso.

Finisce la pellicola. “Le fabuleux destin d'Amélie Poulain”* mi ha colpito molto; un po’ come a tutti, là dentro. Tutti, a parte quel ragazzo, che se ne sta seduto tre secondi di numero e poi sgattaiola via, inghiottito dal buio della ville lumiére. Mi fermo, interdetto, e dico, tra me e me: “Non era mica Yann Tiersen, quello?”.

Prima ancora.

La Bretagna è come un quadro: l’immagine è il bocage, ovvero il tipico orizzonte campagnolo bretone, una macchia verde piatta e tranquilla, irregolare solo nella delimitazione dei confini; la cornice è la costa frastagliata, che cala a precipizio sul mare solo dopo infiniti ripensamenti. Se dal fianco di Brest si volge lo sguardo verso ovest, si noterà un piccolissimo lembo di terra emersa, talmente minuta da sembrare in balia delle onde e dei venti: è l’isola di Ouessant**, ottocentoottanta anime.

L’allora 26enne Yann Tiersen deve aver contemplato più volte quel panorama: enfant prodige del Conservatorio di Brest, con il cuore diviso in tre tra la musica della sua formazione scolastica, quella punk e la sua ragazza (non so in che ordine…), nel 1996 il musicista decide di attraversare il mare e di stabilirsi temporaneamente proprio laggiù ad Ouessant, giusto per respirare l’aria (sapida) che tira e comporre un po’. Tiersen è talmente colpito da quel piccolo villaggio da farne il soggetto, anche se non dichiarato, delle sue composizioni: un lavoro che si riverserà nel disco "Le Phare" che è un'ode alla vita bretone di provincia, così simile ma al tempo stesso cosi diversa da quella di una città come Brest, che pure sta lì di fronte, a poche leghe. Il giovane Yann, con il suo stile profondamente melodico e armonicamente semplice, pare il cantore ideale per un'isola come questa. 

Il desiderio di intessere un filo rosso tra realtà di borgata e musica è subito evidente: “Le Quartier” apre il disco con una tenera registrazione d’ambiente dello scalpiccio e delle voci di bambini, colti sul fatto da Tiersen mentre escono di filata dalla panetteria del paese con la bocca piena di torta di mele: da li, uno srotolo ritmicamente sostenuto per violini, chitarra e percussioni, dal tema brioso e andante. Lo stesso sapore paesano è suggerito dal trittico di brani “L’Arrivée sur L’Ile”, “La Noyée” e “Le Fromveur”, palpitanti bozzetti acustici da melodia popolare, con ancora i violini e le fisarmoniche dal timbro incrostato di sale e polvere ad intrecciarsi vorticosamente tra di loro senza soluzione di continuità tra pizzichi e note lunghe; delle tre, solo “Le Fromveur” sembra suggerire una realtà oltre quella del microcosmo dell’isola di Ouessant, con i rumori del porto, forse quello di Brest, mischiati a sonorità vicine a quelle della tradizione musicale irlandese.

La fisarmonica è la voce regina del disco: legata da sempre alla tradizione popolare francese, assume nelle mani di Tiersen timbri allo stesso tempo picareschi e malinconici, lontani da quella sua sensualità che svela lascivamente nelle canzoni folk proprie del resto della Francia. Lo si può intuire in “L’Homme Aux Bras Ballants”, un valzerino per archi, toy piano*** e, appunto, fisarmonica: il brano, nella sua voluta semplicità, pare farsi beffa dei grandi balli di Parigi, tanto con un'inattesa parte centrale  più cupa che spaeserebbe i ballerini della capitale (ma che è puramente bretone), quanto poi con un finale con ritmi e passi sempre più rapidi e dal chiaro richiamo agreste che sembra un rompete le righe neanche troppo velato. Una sorta di “Emmabovarysmo” musicale al contrario****; il che non può non far pensare alle vicende personali dello stesso Tiersen, sbarcato dal continente in una piccola isola dove tutti si conoscono e condividono la vita assieme, tra una partita a carte al caffè del paese e un pranzo a base di pesce nell’unico bistrot del luogo, “Chez…”.

Ma il lavoro compiuto da Tiersen in "La Phare" non si limita al recupero di sapori folklorici bretoni, ma raggiunge una ottimale perfezione di dosaggio tra vari ingredienti: una cosa che non sempre riuscirà al talento transalpino nel corso della sua carriera. Nella testimonianza musicale della vita isolana realizzata nell'album non può mancare la descrizione delle ore dell'imbrunire, quando sul villaggio le ombre si allungano e si alza il vento dell’Ovest, lo stesso che aveva ispirato Debussy*****; nel far questo, il musicista attinge quindi dal suo nutrito bagaglio di studi classici, estranedo dal capello le dolenti “La Dispute” e “Sur Le Fil”, dalla chiara matrice minimalista, ma  pregne di quel gusto melodico essenziale (che a dire il vero ogni tanto si inzacchera in dolce ruffianeria) che è la cifra stilistica non solo dell' album, ma di Tiersen come autore. Curiosamente, entrambe hanno una struttura simile: una prima parte per sola fisarmonica (la prima) o violino (la seconda); stacco di silenzio e ripresa del tema per pianoforte (entrambe), che, dopo tutto quel brulicare di strumenti a corda, entra nella scena acustica del disco con fare delicatamente solenne. La scelta di arrangiamento del compositore bretone di far suonare gli strumenti in solo,  ben descrive quei momenti in cui il villaggio si riposa, cullato dal mare; il silenzio tra una parte e l’altra pare invece suggerire il sogno di un duetto tanto desiderato quanto reso impossibile dalla solitudine che ammanta questi luoghi e che ne rappresenta il lato meno fiabesco e più finemente crudele; una piccola ferita voluta e cercata, come la cicatrice di un marinaio.

Dopo.

Tiersen oggi ha 50 anni e risiede a Ouessant. Il suo destino mi è sempre sembrato strano, perché arrivare quasi a detestare una tua opera, come Tiersen pare velatamente suggerire in molte interviste quando gli viene fatta la puntuale domanda sulla colonna sonora del film di Amélie, è normale; ma se la creazione che non sopporti è non solo il lavoro per cui sei conosciuto letteralmente ovunque, ma è  anche quella che maggiormente ti decontestualizza artisticamente******, il retrogusto dolceamaro è servito. 

Uscendo dal cinema, a Tiersen è scivolato un biglietto dalla tasca. L’ho raccolto e c'era scritto:

"Excusez-moi Amélie, si je retourne en Bretagne…”


Va bene, adesso mi sveglio...


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* Film del 2001 di Pierre Jeunet che segue le peripezie sentimentali di Amélie (una tenera e dolcemente pazza Audrey Tatou), giovane ragazza un po' freak dall'indubbia indole onirica, sullo sfondo di una Parigi fiabesca e da polaroid (questa la capisce solo chi ha visto il film). Fu un successo di pubblico enorme. Dal canto mio, ne conservo un un dolce ricordo, anche della colonna sonora.  

** Isola piu ad ovest della Francia, ad una ventina di chilometri dalla costa, dalla strana forma a chela di granchio. Fa parte della regione della Bretagna. 

*** Ovvero il pianoforte giocattolo. Inventato nel 1872 a Philadelphia da Albert Schoenhut, ha un utilizzo principalmente ludico, ovviamente. Ma non sono mancate composizioni "serie" per pianoforte giocattolo: citiamo la "Suite For Toy Piano" del 1948 di, ma guarda un po', John Cage. 

**** L'aggettivo si riferisce alla protagonista del romanzo di Flaubert, quell'Emma Bovary che, dopo una vita passata in un villaggio - con tutto quello che ne consegue -, sogna la vità di città e l'alta società -, con tutto quello che ne consegue. 

***** Penso alla composizione contenuta nei "Preludi" per pianoforte del musicista francese, intitolata "Ce qu'a vu le vent d'Ouest", per la quale Debussy prese ispirazione dalla novella "Il giardino del Paradiso" di H.C. Andersen.

****** La colonna sonora del film di Amélie è composta da Tiersen, ma in larga parte recupera vecchie canzoni di suoi album precedenti, scelte dal regista Jaunet. Di fatto l’enorme successo della pellicola ha saldamente legato il compositore e la sua musica dalle forti tinte bretoni alla realtà parigina del lungometraggio. 

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Yann Tiersen - Le Phare  (1998, Ici..d'ailleurs)


Yann Tiersen, - violino, fisarmonica, piano, mandolino, chitarra, banjo, clavicembalo, violoncello, vibrafono, melodica, wind chimes, voce, field recordings

Claire Pichet - Voce 

Dominique A - Voce

Sascha Toorop - batteria, percussioni


Prodotto da Stephane Kraemer

Artwork di Frank Louriou

Foto di Renaud Monfourny




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