13. Andrea Ruocco - Moto Ondoso




Questa volta non racconterò nulla, non descriverò nulla; farò solo domande. 

In questa pagina il centro non sarò io, ma Andrea Ruocco, musicista, compositore e contrabbassista di formazione sia classica che jazz; un ragazzo con il corpo in Trentino e l'animo a Napoli, in un connubio di valli e maree che mi pare riflettere anche la sua persona tanto aperta quanto generosa.

Saranno le sue parole e non le mie a guidarvi nell'ascolto del suo brano "Moto Ondoso", acquerello ambient finemente ricamato per vibrafono, sintetizzatore, brusii di corde, tintinnii e frammenti sonori trovati qua e là. Un pezzo che nasce da un personale lavoro di esplorazione del rapporto tra musica e meditazione, vero contraltare acustico ad un esercizio di rilassamento; sonorità che rimandano a quegli ampi spazi - in questo caso, marini - di cui Andrea stesso è attorniato.


1) Come hai iniziato ad interessarti alla meditazione?

La mia personale scoperta della meditazione è avvenuta subito dopo aver terminato i miei studi al Conservatorio di Trento: dopo anni di approfondimento, quasi per reazione, volevo allontanarmi un po’ da quanto avevo appreso lì. Nel cercare di distanziarmi dal mero studio dello strumento, ho cercato di scoprire spazi non solo verso l’esterno, che è dove fisicamente esce il suono, ma anche all’interno di me stesso; è stato quindi per me naturale interessarmi alla lettura di libri di psicanalisi. Da lì ho poi mi ha attratto la meditazione, e ho iniziato a fare i primi esercizi guidati. La meditazione è stata, e continua ad essere, un percorso molto importante per me, per la scoperta di me stesso a livello emotivo e fisico. 

2) Che rapporto c’é, se c’é,  tra musica e meditazione, secondo te?

Non so se esista davvero un rapporto tra meditazione e musica, almeno secondo me. Il fatto è che la meditazione non ha uno scopo; la musica invece si, che è il motivo per cui non puoi veramente meditare con della musica intorno. Quello che volevo provare a fare con questi brani è di restituire in musica ciò di cui avevo fatto esperienza attraverso la meditazione, sia che l’avessi conclusa pochi miniti prima (come nel caso dei brevi brani intitolati “Meditazioni”, ndr), sia che l’avessi conclusa giorni prima. Ad esempio, “Moto Ondoso” è nata da una meditazione “cantata”, dove mi sono ritrovato ad emettere note lunghe e gravi durante l’esercizio; tutto questo allargava la mia respirazione, in una sorta di raccoglimento musicale guidato. 

3) Che idea si cela dietro il brano “Moto Ondoso”?

In questo brano è centrale la figura musicale suonata dai metallofoni: è una registrazione di una improvvisazione suonata durante un corso di musicoterapia sul dialogo sonoro; sembra eseguita da una sola persona, ma in realtà siamo in due! In quel momento sentivo una grandissima connessione tra di me - che ho suonato la parte - e quest’altra persona che mi stava accompagnando: ho preso spunto da questa registrazione scarna e ne ho manipolato il contenuto, costruendoci la base melodica per il brano. Sono rimasto così colpito da quel breve frammento di “dialogo” tra me e il mio “accompagnatore” e dalla sintonia raggiunta tra noi che ho deciso di porla al centro di una composizione; la cosa aveva perfettamente senso, in quanto quell’'improvvisazione è nata in maniera totalmente estemporanea, in una pausa durante il corso! Il tutto senza alcuno scopo, esattamente come la meditazione. Ho aggiunto poi tutto il “contorno”, in particolare usando molte tracce di synth, che a loro volta sono piccole particelle registrate.

4) Dal punto di vista formale, i tuoi primi esperimenti circa il rapporto tra musica e meditazione sono contenuti in “Meditazioni”, registrazioni musicali di durata molto breve realizzate immediatamente dopo aver meditato. Per “Moto Ondoso” ti sei invece proiettato su una dimensione più ampia, sui 10 minuti di durata: com'è stato lavorare su una “tela sonora” più vasta?

In realtà su questo devo darti una piccola delusione: non avevo programmato nulla in merito alla durata del brano! La differenza rispetto ai brani brevi di “Meditazioni” è che in quel progetto cercavo di ricreare a livello sonoro cosa avevo vissuto pochi secondi prima attraverso la meditazione, provando a trattenere - e perché no, ad estendere - quelle sensazioni attraverso il suono. Qui invece la registrazione è avvenuta dopo un po’ di tempo dal mio esercizio meditativo, cambiando necessariamente la prospettiva compositiva.

5) Spesso e volentieri i video dei tuoi brani rappresentano un'immagine dai colori sgranati che - almeno a me - suggeriscono sensazioni a metà tra il languore e la nostalgia. Puoi dirmi come ti poni rispetto all’immagine, in genere?

Intanto vorrei dirti che l’immagine che accompagna il video di “Moto Ondoso” rappresenta un lago qui vicino alla scuola dove insegno: ci vado spesso per fare giri in bicicletta, suonare e meditare. In generale, comunque, l’immagine può essere di grande aiuto e stimolo a livello di composizione musicale! In genere è davvero difficile comporre partendo da un foglio completamente bianco: avere una tela immensa davanti e una tavolozza piena di colori pronta all’uso può confondere e spaventare. Io penso infatti che sia molto importante avere dei limiti, qualche riferimento “fisso” a cui ispirarsi quando ci si approccia alla composizione di un lavoro; l’immagine può essere certamente una di queste. So che tu componi spesso partendo da immagini che hai in testa!

6) Decisamente sì! Ma non siamo qui per parlare di me! Scherzi a parte, “Moto Ondoso” rimanda, sia per il titolo che per l’immagine a corredo, a paesaggi marini: hai un legame con il mare?

Beh, sono mezzo napoletano: se vieni dal là, il mare te lo porti dentro anche senza volerlo. Ma a dire il vero, mi sono accorto che più che il mare, io cerco l’acqua, in qualunque luogo io mi trovi. Che sia a Pergine, dove vivo, a Trento o a Vicenza, dove ho studiato. 

7) Ultima domanda: da ex studente e insegnante di jazz, quale pensi sia il più grande limite del genere, ad oggi?

Il suo limite più grande penso sia il fatto che purtroppo il jazz si è troppo accademizzato, prendendosi troppo sul serio; così facendo, il genere ha perso quell’“io bambino” che aveva sin dagli albori. Se pensi che il jazz si suonava tanto per strada quanto nei bordelli! E persino ai funerali… ora invece il jazz risulta decisamente più codificato e, in questo, sta seguendo la parabola già avuta dalla musica "classica", o colta che dir si voglia.


Conclusa la chiacchierata con Andrea, non mi resta che invitarvi all'ascolto della sua "Moto Ondoso", che trovate qui sotto!







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