Non è immediato pensarlo, ma la musica è stata per lunghissimo tempo una tradizione orale. Poi certo, l’avvento della scrittura cambiò anche il mondo musicale, e si crearono vari sistemi di notazione. Va’ però precisato che per tutta una serie di composizioni - e col senno di poi vale la pena chiamarle così - di origine popolare la storia continuò indefessamente a tramandarsi per via parlata; quando e se veniva trascritta, si trattava di trascrizioni di chissà quale variazione sentita da chissà chi e chissà dove, proprio perché sono canzoni di tutti e nessuno.
Nelle brumose terre del Regno Unito è germogliato nel tempo un patrimonio ricchissimo di ballate e storie del popolo; un’eredità comune che scorre placida e costante sotto i piedi degli uomini che si susseguono nei loro affanni, come linfa di un'albero millenario.
Non stupisce troppo quindi che anche i due fratelli irlandesi Brian e Diarmuid McGloinn, titolari del duo folk “Ye Vagabonds”, tentassero un recupero di tale tesoro acustico-narrativo; a maggior ragione dopo che i ragazzi trovarono in casa propria una pila di polverose registrazioni del loro nonno, impegnato in solitarie esibizioni di alcune di queste mitiche folksongs. Inizia quindi per i fratelli un viaggio che è sia di scoperta che di consapevolezza, dato che questo percorso a ritroso li porterà a sfogliare copie della raccolta della Child Ballads* nelle biblioteche di Dublino ma anche a reinterpretare canzoni avevano sentito milioni di volte in casa propria o in quella degli amici, cantate di volta in volta da loro stessi o da qualche anziano dai ricordi ancora ben vividi**.
Ho sempre pensato che se il processo creativo è onesto, onesto sarà anche il risultato: e non c’è dubbio che i solchi sonori di “The Hare’s Lament” restituiscano appieno la genuinità e la perizia del lavoro di ricerca dei fratelli, che di queste canzoni, circolanti in varie forme tanto in Irlanda quanto in Scozia, Inghilterra e in Ulster, hanno ricostruito e confrontato le strofe e i ritornelli, analizzato e ripensato le accordature. L’approccio del duo a questo materiale ormai innato è passionalmente rispettoso, ponendosi in contrasto con certe tendenze di svecchiamento che stanno attraversando il mondo del folk. Le parti strumentali dell'album sono umilmente ridotte all’osso, in una scelta che pur mostrando un po' il fianco dal punto di vista della varietà ha però il pregio di scoperchiare l'innata potenza melodica di questi brani. Il segreto qui sta nell'interpretazione: e in "The Hare's Lament" a stupire anche l'ascoltatore distratto è infatti il trasporto emotivo del duo, cosi puro e genuino da risultare quasi crudo. Una dolce febbre che sgorga in una passione vocale facilmente palpabile, punta dai vari tocchi di mandole, chitarre, bouzouki***.
Così, il disco si snoda tra vecchie ballate che parlano di corteggiamenti inusuali e di amori impossibili (la crudelmente dolce “I Courted a Wee Girl”, dove lo sfortunato protagonista è segretamente innamorato della persona che sta vedendo sposare. Morirà di dolore a fine pezzo), passando per storie di zingari o presunti tali (“Seven Little Gypsies”, brano qui opportunamente impregnato di atmosfere fosche e cupe, che parla della morte di tale Sir Dunbar Faa, impiccato dal suo rivale in amore perché “casualmente” scambiato per uno zingaro), fino ad arrivare a descrizioni di scene di caccia narrate dalla curiosa prospettiva della preda (“The Hare’s Lament”, sostenuto intreccio chitarristico che nel ritmo richiama la sicumera del passo del cacciatore e che poi si srotola nel finale in un passo di giga per strumenti a corda e pipes). Canzoni che hanno allo stesso tempo il gusto favolistico dei tempi andati e il tono concreto e sanguigno delle storie di comunità; echi di passioni e personaggi passati che però risultano così connaturatamente e teneramente umani nelle loro storie da apparire universali e senza tempo, trasportati di generazione in generazione dal vento che soffia accarezzando coste, villaggi, città.
Nel denso racconto musicale del disco c'è spazio anche per la toccante confessione in 3/4 di “Siun Nì Dhuibir", dove compare il gaelico - una lingua che mischia accenti aspri a parole dai toni fiabeschi e che si musica decisamente bene -: i tempi si allungano come le dita della notte lunare, le corde pizzicano placide, le voci sospirano alla stregua della marea che si infrange sulle scogliere a precipizio, in quello che è il migliore episodio dell'album.
Nei suoi quaranta minuti scarsi, “The Hare’s Lament” ci restituisce una sincera e appassionata lettera alle terre britanniche, alla loro natura e ai loro uomini. Tenuto a mente qualche indubbio limite timbrico che è intrinseco quando si parla di filologico recupero della musica tradizionale, in questo lavoro troviamo l’Irlanda e la Gran Bretagna più vera, quella che ha affidato al canto parte della sua storia quotidiana; una storia che è però viva e pulsante, tanto da essere memoria condivisa. Non per nulla, Brian e Diarmuid passano gran parte del tempo dopo i loro concerti nella terra natìa a discutere amabilmente con il loro pubblico****, che desidera sapere ma anche far sapere che loro certe versioni dei brani suonati quella sera le avevano sentite dai nonni, zii, fratelli. I quali a loro volta li avevano ascoltati chissà dove, forse sulle colline d'Irlanda, ma magari anche nelle brughiere di Scozia, nei campi d’erica in Inghilterra o su un drumlin (droimnin in gaelico: è la cresta di un colle) nell’Ulster. E che, come spesso accade, nella loro versione c'era una strofa in più, una parola diversa, uno scenario differente*****.
E mentre risuonano nella mia stanza le ultime note al profumo d'erba sapida di una intensa versione di “Willie O Winsbury”******, non posso fare a meno di pensare alla potenza di quello straordinario e fitto libro in perpetuo divenire che è la memoria collettiva.
Ye Vagabonds - The Hare's Lament (River Lea, 2019)
Brian MacGloinn - voce, mandolino, bouzouki, chitarra, fiddle
Diarmuid MacGloinn - voce, mandolino, bouzouki, chitarra
Alain McFadden - harmonium
Jesse Smith - violino, fiddle
John Flynn - tin whsitle
Brighde Chaimbeul - pipes
Mixato da Joan Murphy a Dublino
Masterizzato da Noel Summerville
Engingeers, Dragah Murphy, Nick Rainer
Artwork di Brid O' Donovan
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